Sai che farà male, tutte le tue amiche hanno volutamente ingigantito le esperienze di “un amica del mio ex”, o “la cugina della mia vicina di casa”, prospettandoti scenari epici e drammatici, ma tu, con la testa bassa e una panoramica in mano entri nello studio del dentista per togliere il primo dente del giudizio.
Tutto tranquillo, ci sei già stata, sempre per brevi sedute di “Apri. Chiudi. Tutto a posto ci vediamo tra tre mesi”, stavolta è diverso e il tuo stomaco che si contorce lo sa, oh se lo sa.
Uno stuolo di ferri, che la lamapada a LED rende ancora più brillanti. Una siringa, dentro un liquido giallo.
Inizia la tortura e pensi “ma non sento nulla, che bello”. Vedo impugnare gli arnesi più grandi e più strani, non mi spavento nemmeno quando vedo il bisturi e quando sento “cuciamo” penso “di già?”.
Nella mia ingenuità uscita dallo studio del dentista parlavo, in macchina cantavo, ho scritto alle mie amiche “mi avete messo paura per nulla”. Ero nel pieno della mia gioia. Ci fermiamo in farmacia. Ci fermiamo a prendere del gelato e inizio a sentire come uno spillo che insiste sulla mia gengiva. Il tempo di tornare a casa, appoggiarmi sul letto con un libro e il male cresce, cresce, cresce. Un male da non riuscire ad aprire la bocca, un male da rifiutare che la tua cena sia una vaschetta di gelato, ma di quello buono.
Un male che nemmeno “ascolta canzoni allegre e ti passa” attenua.
L'anestesia è stata bella. Un'esperienza bellissima. Mi ha fatto credere di essere Wonder Woman. Piacere effimero.
Adesso io e il solco che ho in bocca al posto del dente quarantotto conviviamo, più o meno pacificamente, aiutati da quel gran giudice di pace che è il MOMENT.
Ma i detti popolari sono una gran fregatura.
Tutto tranquillo, ci sei già stata, sempre per brevi sedute di “Apri. Chiudi. Tutto a posto ci vediamo tra tre mesi”, stavolta è diverso e il tuo stomaco che si contorce lo sa, oh se lo sa.
Uno stuolo di ferri, che la lamapada a LED rende ancora più brillanti. Una siringa, dentro un liquido giallo.
Inizia la tortura e pensi “ma non sento nulla, che bello”. Vedo impugnare gli arnesi più grandi e più strani, non mi spavento nemmeno quando vedo il bisturi e quando sento “cuciamo” penso “di già?”.
Nella mia ingenuità uscita dallo studio del dentista parlavo, in macchina cantavo, ho scritto alle mie amiche “mi avete messo paura per nulla”. Ero nel pieno della mia gioia. Ci fermiamo in farmacia. Ci fermiamo a prendere del gelato e inizio a sentire come uno spillo che insiste sulla mia gengiva. Il tempo di tornare a casa, appoggiarmi sul letto con un libro e il male cresce, cresce, cresce. Un male da non riuscire ad aprire la bocca, un male da rifiutare che la tua cena sia una vaschetta di gelato, ma di quello buono.
Un male che nemmeno “ascolta canzoni allegre e ti passa” attenua.
L'anestesia è stata bella. Un'esperienza bellissima. Mi ha fatto credere di essere Wonder Woman. Piacere effimero.
Adesso io e il solco che ho in bocca al posto del dente quarantotto conviviamo, più o meno pacificamente, aiutati da quel gran giudice di pace che è il MOMENT.
Ma i detti popolari sono una gran fregatura.
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