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mercoledì 26 marzo 2014

I saw what I saw

Un mese senza scrivere su questo povero e abbandonato bloggg.
Io racconterei più che volentieri tutto quello che accade al lavoro, ma mi hanno fatto firmare ben due fogli in cui dichiaro che quello che vedo e sento là, deve rimanere là.
Non avevo mai firmato nulla di simile.

Qui si. Qui sebbene in mia presenza tutti parlino in codice non devo dire niente di quello che sento. Forse è un test, forse i servizi segreti mi vogliono assumere e questa è una copertura, un test involontario, che ovviamente non supererò mai.
La pubblica amministrazione non dovrebbe essere limpida e cristallina e dovrei essere libera di raccontare tutti i tramini?

Comunque è così. Non devo parlare. Però più loro parlano in codice e più io mi incuriosisco. Già devo superare l'arduo scalino che lì si parli per lo più in dialetto, che si, è il dialetto di dove sono nata e cresciuta, ma è il dialetto che da piccola guai a dire qualcosa perchè “non sta bene”.
Qui dove hanno una media di due lauree a testa parlano in dialetto.
Quindi diciamo che ho qualche problema linguistico, il problema che non conosco le persone di cui parlano e che quando chiacchierano su qualcuno che forse potrei anche lontanamente intuire chi sia si prodigano in mosse del capo, o epiteti misteriosi e incomprensibili.

Quindi tranne il fatto che il lato bello di lavorare lì dovrebbe essere la mole succulenta di notizie eppure torno a casa districando enormi matasse di nomi, diciamo che le mie chiappe non si alzano dalla sedia, il mio stomaco gorgoglia e il mio livello di concentrazione dopo una certa ora cala drasticamente arrivando ai minimi storici intorno alle undici e mezza/mezzogiorno.

Io che da brava sono sempre stata miglia lontana dal caffè ho iniziato a far entrare caffeina in corpo, ma essendo che del caffè mi piace l'odore, ma non il sapore, ingurgito pastiglie di caffeina per restare sveglia.
Qualcuno di molto saggio mi ha detto “mi sembri sempre più strana”.

Avevo anche dei lunghissimi capelli, lunghi. Ora no. Ora ho qualcosa senza forma, di lunghezza esigua, a tratti sparuta.

All'orizzonte (oltre che il ritorno del Trono di Spade) si profila anche qualcos'altro. Qualcosa che ancora non è certo e ha forme approssimative, ma che già sta riempiendo la mia testa e il mio desktop.
Pare che fratello e tutti i personaggi di Star Wars (tra cui si annovera un Dart Vader di dimensioni mastodontiche che puntando la spada laser verso la mia parte di camera sibila con voce da maniaco “you don't know the power of darkness”) andranno per la loro strada. Forse Fratello è pronto a prendere il volo. Forse.

Sempre se Mater non gli tira il freno a mano. Mater per quanto voglia che Fratello impari l'elementare concetto causa-effetto (se non riempi la lavastoviglie non hai piatti puliti, se non lavi i vestiti non ne hai di puliti, se non fai la spesa non hai cibo, se non pulisci rischi l'invasione di scarafaggi) c'è un alto tasso di probabilità che freni questo moto indipendentista.

Io intanto crogiolandomi in questa ipotetica idea ho riempito il desktop di cartelle piene di idee per quella che diventerà la mia immensa camera.
Ormai i siti di streaming stanno cedendo il primato al sito della maison du monde.
Avrò un armadio enorme. Avrò tanto spazio, se vorrò avrò anche della carta da parati.
Avrò una libreria con le ante. Avrò talmente tanto spazio da voler sub affittare qualche metro quadro.
E probabilmente tutto ciò rimarrà in un folder sul desktop.
Haloa

domenica 2 marzo 2014

Il terzo primo giorno di lavoro.

Il primo primo giorno non mi era piaciuto. L'ho odiato.
Il mio stomaco era talmente in subbuglio che non ho nemmeno pranzato.
L'agitazione era troppa, l'ansia seguiva a ruota.
Troppi nomi, troppe cose da ricordare, un mondo che non conoscevo. 
Dovevo capire come funzionava la vita lì dentro. Capire i ritmi e come ci si muoveva.
Credo che per la prima settimana sono io sia stata sempre seduta in punta alla sedia. Sempre.
Tutta gente molto più grande di me, il telefono che continuava a squillare e parlavano per ore di assegni, fatture e amenità che non conoscevo. Ci ho messo un po' a sedermi tranquillamente sulla sedia, a rilassare le spalle e prendermi il tempo per fare le cose. Ho capito che chiedere se non ero in grado di fare qualcosa non era un dramma, ma ogni tanto era anche esaltante buttarmi a capofitto e vedere cosa ne usciva (per esempio quasi un'ora per inviare un fax. Tra improperi e espressioni del tipo "chi cavolo usa ancora il fax oggigiorno?"). Con il tempo ho capito come funzionava il tutto, no, il fax non l'ho mai capito e si sono arresi e ho iniziato a prendere il lato positivo del tutto. In un ufficio si vede l'umanità più varia.

Il secondo primo giorno non ha avuto molto a che vedere con il primo. Anzi. Ero emozionatissima. Era un sogno. Era tutto bellissimo. Tutto oltre le aspettative.
Nemmeno lì sapevo come muovermi, come interagire con gli altri, come capire chi erano quelli davvero importanti a cui non rompere le scatole con stupide domande. Essere in una grande stanza con altri 5 stagisti ha aiutato, guardare fuori ed essere in piena Manhattan anche. Lì non sono mai stata seduta sulla punta della sedia, lì mi ero ripetuta un mantra prima di partire "buttati nelle cose, è un'esperienza che capita solo una volta nella vita" e così ho fatto. Per tre mesi mi sono completamente lasciata tirare dalla corrente, che poi a NYC non si chiama corrente, si chiama vita.
L'ambiente di lavoro era stimolante, avevo a che fare con persone che mai mi ricapiteranno, ho incontrato gente che nemmeno sommando il resto della mia vita. Nonostante fossi lassù al quarto piano, l'ultima ruota del carro ci si sentiva importanti. Uscire e sopra la testa sventolava la bandiera italiana, faceva sentire l'orgoglio per la terra di appartenenza. Si quel primo giorno, ma tutti quei giorni sono stati indelebili.

Ora non resta che vedere che ne sarà domani.
Ho già l'ansia. Diciamo che tra i miei livelli di ansia finora conosciuti siamo a metà della scala ESSE-ANSIA.
Il livello che si dorme, male ma si dorme.
Non mi sono ancora figurata scenari apocalittici. Devo star zitta. Devo ricordarmi di non dire niente se non l'ho pensato almeno tre volte, perchè quando sono agitata ho il dono di dire parecchie idiozie.

I vestiti sono pronti sullo schienale della sedia. I capelli ho deciso che li terrò slegati, ma per precauzione, un elastico al polso ce lo metto.
Metto la collanina portafortuna e anche tutto l'armamentario portafortuna al polso.
Non ho cambiato la pila all'orologio. Dovrò guardare in continuazione l'iPhone. Non sta bene, ma io se non so l'ora sto male fisicamente.


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