Sono già tre volte che mi
chiamano per i seggi elettorali.
A me piace. Di tanto in
tanto quando Mentana ipotizza cadute del governo penso "così
si va a votare", idem dopo le tangenti per l'expo "Maroni
se ne va e io vado a votare".
Fa sentire importanti,
niente di più bello quando mi sigillo in cabina elettorale o quando inserisco la scheda nell'urna.
Ma veniamo al lavoro di
scrutatore, anche quello mi piace tantissimo. Scrivere, contare e
firmare. Dire "buongiorno" una volta al minuto. Ripetere
costantemente "la scheda blu è per le amministrative e quella
grigia per le europee, si ricordi di non sovrapporle mentre traccia
il segno". Che poi invece di obbligarci a dirlo circa 763 volte (grandi affluenze in piccoli paese) non sarebbe più semplice utilizzare una carta
che non renda possibile il trasferimento di colore?
Ma la riflessione
fondamentale e principale è una e non era questa.
Noi scrutatori per lo più
eravamo in jeans e maglietta, felpa che andava e veniva lungo le
interminabili 19 ore e mezza passate là, invece la gente che si
susseguiva era un pot-pourri di figaggine.
Tutti tirati a lucido.
Le signore sfoggiavano
perle, camicette bianche di seta, pettinature invidiabili. Uomini in
camicia. Ragazze truccate e sistemate nemmeno fossero il sabato sera al Met Gala.
La gente per lo più
veniva a votare per incontrare qualcuno, per fare due chiacchiere,
per aggiornarsi su vivi, morti, divorzi, separazioni, figli, corna e
quando vai ad aggiornarti, se non vuoi che poi parlino male di te, ci
vai infighettata fino alla punta dei piedi e tenti di tirarti dietro
l'intero nucleo familiare così da poter apparire la più felice
delle famiglie.
Questo strano fenomeno
sociologico che è il giorno delle elezioni, in un piccolo piccolo
borgo mi lascia ogni volta tra lo stupore, lo sconcerto,
l'ammirazione e la diffidenza.
E tutte le volte che
mi hanno detto "ciao! La mamma tutto bene? Salutami a casa"
io non avevo idea di chi fosse la persona, ma con un sorriso Durbans, sfoggiavo un convincete "bene, bene".