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giovedì 26 dicembre 2013

L'invisibilità

Fino a poco tempo fa se qualcuno mi avesse chiesto quale super potere mi sarebbe piaciuto avere sarei stata indecisa tra l'invisibilità e il teletrasporto.

Si avrei riflettuto un attimo e valutato che l'invisibilità dev'essere una cosa bellissima, essere ovunque senza che nessuno sappia che tu ci sei, comportarti come vuoi, senza che gli altri girino la testa per guardarti, assistere senza che nessuno ti noti. Si, l'invisibilità sarebbe veramente interessante.

Il teletrasporto, beh, per evidenti motivi. Sarebbe il potere più straordinario. Ti svegli nel tuo letto, colazione veloce a Parigi, puoi anche lavorare nel paesino più sfigato sulla terra che comunque nessuno ti toglie il diritto della pausa pranzo a Central Park, o su una spiaggia della Polinesia. Essere ovunque.

Si, credo che se la sarebbero giocata ardentemente l'invisibilità e il teletrasporto.

Adesso no. Adesso che sto sperimentando l'invisibilità no. Non mi piace più l'invisibilità. Proprio quello che prima avrei elogiato “assistere, senza che nessuno ti noti” adesso non mi piace, soprattutto adesso che sono invisibile solo per le persone a cui tengo.
Come non ci fossi, come non esistessi. La loro vita prosegue e io sono lì, io vorrei urlare, “ci sono, parla con me” o “riconosci almeno il fatto che io esista” invece o sono urla solo nella mia testa che il mondo non può sentire o i destinatari non le vogliono ascoltare. Essere invisibile non mi piace.
L'invisibilità la odio. 

Adesso vorrei solo il teletrasporto, capace di portarmi ovunque. Ovunque io e la mia invisibilità.


Non voglio essere invisibile. Non mi piace che nessuno mi veda, nessuno mi senta, nessuno si scomodi per capire cosa dirmi, come comportarsi con me.

Nir Elias - Reuters

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