Io da che ho memoria soffro di continue e inutili ansie.
Mi ricordo fin da piccola il cuore
che accelerava il suo battito ogni volta che in macchina arrivavamo a
svoltare l'ultimo angolo prima di arrivare alla pista di allenamento.
Non c'era un vero motivo, ma sentivo il cuore in gola e già pensavo
alla prima frase da dire, così l'avrei detta bene e non veloce come
al mio solito, rischiando di inciampare su qualche d o saltando
qualche parola. Mentre la nonna era al volante io preparavo la mia
frase, la ripetevo nella testa e lì, nella mia zucca veniva
benissimo. La ripetevo nuovamente quando scesa dalla macchina aprivo
il bagagliaio per prendere la borsa e poi con il cuore che continuava
costantemente ad aumentare il suo ritmo, dicevo il mio ciao, ma
qualcosa non andava mai come previsto.
Io soffro di ansia
quotidianamente.
Non so mai quale sarà quel
dettaglio che farà iniziare le gambe a sentirsi deboli, lo stomaco
che si stringe quasi a spremersi, le voci che iniziano a mescolarsi,
la tachicardia, i dolori al petto e poi la pressione in caduta
libera. Il respiro che si fa corto, la sensazione di avere una
cintura intorno al petto che si stringe sempre di più.
Il problema è che le cose più
semplici a volte diventano ostacoli insormontabili.
Mi sveglio la mattina con i denti
serrati, li stringo come se non volessi mollare quella preda che è
l'ansia, me la tengo lì e spesso passano più di dieci minuti prima
che mi accorga di mollare la presa sui denti. Idem con le spalle e
tutti i muscoli, sempre molto rigida, abituata a tenere tutti i muscoli
in tensione, dimenticandomi di scioglierli anche a letto.
Non importa che io abbia una
routine, c'è sempre qualcosa che mi provoca ansia.
Non sono mai tranquilla, c'è
sempre qualcosa: il lavoro che non mi piace, la paura di non trovarne
un altro, l'ansia dell'università, il timore di essere un enorme fardello sulle spalle dei miei genitori, la sensazione di essere costantemente giudicata dal mondo,
L'angoscia è perenne,
costante, così in ufficio come a casa, là a mangiarmi lo stomaco.
Tutto è fonte di ansie, basta davvero poco e inizio ad agitarmi, a prevedere
gli scenari più apocalittici.
Spesso mi nego le cose. Mater pensa che io lo faccia per pigrizia, spesso invece è perchè mi agita tutto. Mi agita andare in un posto nuovo, conoscere persone nuove.
Ed è sempre così: inizierò a parlar veloce, mangiarmi le parole per poi sfociare in quel senso di inadeguatezza che fa da anticamera al fiato corto e al peso sul petto.
I cinque anni di liceo sono stati
insopportabili, entravo e quello scalone di marmo bianco mi gelava il
sangue. Non ricordo una singola mattina, anche se c'era l'assemblea d'istituto, in cui non sentissi premere un peso sul petto
che mi schiacciava fino a farmi star male, sentivo lo stomaco
irrigidirsi e maledire la colazione trangugiata di tutta fretta.
Data la maturità sembrava essersi un po' placata, per tornare facendosi largo a spallate adesso. Adesso no, non è il momento.
Ogni giorno sta diventando una guerra con me stessa e questa guerra si porta dietro stanchezza e incapacità di concentrazione.
Vorrei solo che quello che leggo mi rimanga in testa, che stia lì e non se ne vada per altri lidi.
Adesso
non sono più capace di studiare, sono subito preda dell'ansia che si
materializza con un groppo allo stomaco che accorcia il respiro.
Non è una cosa di cui parlo con gli altri, nemmeno con Mater. Non mi piace far sapere di non avere il totale controllo sul mio corpo. Non voglio dirlo, non voglio che nessuno pensi che ho qualcosa che non va a livello di testa. Perchè sta tutto lì, no?
È lì che devo far calmare le cose, è lì che ci sono i problemi.
Domani devo andare a spiattellare la mia vita ad uno sconosciuto.
Devo andare a dirgli che non funziono più, che non so dove trovare l'entusiasmo per finire l'università, che odio quel lavoro, perchè sento che mi spegne ogni giorno, che detesto l'idea che le persone possano pensare che non valgo niente.